31 gennaio e 1 febbraio a Firenze il Convegno di Storia: “la C.R.I. dal Risorgimento alla vigilia della Grande Guerra”
Sabato 31 gennaio 2015 a Firenze presso la sede del Comitato C.R.I. si è tenuto il Convegno di Storia della Croce Rossa Italiana ”La C.R.I. dal Risorgimento alla vigilia della Grande guerra” .
All’apertura di quest’importante evento un omaggio particolare è stato fatto a Irene di Targiani Giunti, Ispettrice nazionale di C.R.I. o come preferiva farsi chiamare Delegata, negli anni1921-1937. Hanno presenziato all’inaugurazione il presidente dell’Opera Pia Sella, Nicolò Sella di Monteluce e la vice presidente Lelia Zangrossi autrice con Virginia Brayda del volume “Irene Targiani Giunti la CRI nei diari e nella vita”. In quest’occasione si è parlato dell’opera attuata da Irene Targiani Giunti, in ambito socio assistenziale e nella C.R.I, e si è delineata la personalità di questa eccezionale donna di cultura.
Il presidente è intervenuto tratteggiando l’azione svolta in seguito al Congresso Femminile tenutosi a Roma nel 1908, dalle donne dell’alta borghesia e aristocrazia nei primi anni del Novecento, nella maggior parte dei casi d’origine straniera che, trasferendosi in Italia, avevano portato una ventata nuova di consapevolezza nell’azione sociale e assistenziale ad un mondo che sembrava essersi chiuso nei propri valori. Una sorta di reazione ad un lungo periodo di inerzia sociale e culturale. Tra le signore, emerse la figura di Irene Targiani Giunti che ne fu la maggiore promotrice.
Di seguito l’intervento di Lelia Zangrossi che ha delineato la personalità di questa protagonista della storia italiana del quale si riporta il testo integrale.
Irene di Targiani Giunti
Nasce a Napoli il 21 gennaio 1874 e muore a Roma il 7 marzo 1968. La sua è una lunga esistenza e tanti sono gli avvenimenti che si sviluppano dal lontano 1874, anno di nascita a quello della sua morte, il 1968. Due guerre mondiali con il loro strascico di morti, l’avvento di una dittatura la sua caduta e la nascita della Repubblica, la divisione del mondo in due blocchi, la ricostruzione e il consumismo dilagante, l’avvento della televisione… Con l trascorrere dei decenni una società diversa, più complessa le passa davanti, della quale osserva e annota ogni sfaccettatura.
Intelligente e sensibile coglie al volo l’importanza del momento storico che la vede protagonista e si mette in gioco, diventando prima membro e poi promotrice di una serie di iniziative di carattere assistenziale, sociale e culturale.
E’ una donna di cultura – notevole fu la sua attività di pubblicista e di conferenziere – che impegnerà tanto di sé nel sociale ma soprattutto nella riorganizzazione e modernizzazione della C.R.I., diventando “Ispettrice Nazionale”nel 1921 o meglio, come amava definirsi “Delegata”, in segno di rispetto e devozione nei riguardi della Duchessa d’Aosta che deteneva questo incarico e che la scelse come successore. La Targiani lo manterrà fino al 1937, per poi cederlo alla principessa di Piemonte. Il suo lavoro ebbe importanti e immediati riconoscimenti, primo fra tutti la medaglia Nightingale nel 1927.
In sintesi questa è la biografia di Irene Targiani Giunti, ma quanto focalizzato prima non permette di rappresentare a tutto tondo questa importante figura femminile.
E’ opportuno però ricordare che è stato possibile ricostruire la vita di questa donna, aristocratica di nascita e modernissima per la sua epoca, attraverso la lettura e analisi dei suoi diari. sia personali che di CRI.
Fonti importantissime, che la nobildonna napoletana scrisse nel corso della sua intera esistenza. Da essi si conosce quale fu la sua educazione e formazione culturale a Napoli e in seguito il ruolo nella società romana e nella CRI. Le notizie che da essi si possono ricavare sono anche un importante spaccato di storia italiana, che permette di comprendere come fosse il mondo in cui Irene di Targiani Giunti visse e operò. Dai diari emerge il ritratto di una donna severa con sé stessa e nei giudizi, profondamente religiosa, ma dotata di una particolare carica umana e di simpatia, e con una grande capacità di visione e di organizzazione.
La sua formazione culturale era stata attuata privatamente, come era consuetudine per i rampolli delle famiglie aristocratiche, attraverso le lezioni impartite da istitutrici italiane e straniere. Parlava correttamente l’inglese e il francese e aveva molta facilità ad imparare.
Tra le istitutrici, la piemontese Margherita Miglio, sarà quella che più inciderà sulla formazione culturale della bambina, che la spingerà alla scrittura metodica di un diario o giornale fin dall’età di nove anni.
Lo scrivere un diario sarà un’abitudine che non perderà e proseguirà per tutta la sua esistenza. L’abitudine alla scrittura quotidiana ha permesso di fare arrivare fino a noi, riflessioni, aneddoti, commenti di un’intera esistenza. Non solo, la storia stessa della CRI – dal 1921 al 1931 e poi negli anni della II guerra mondiale – è stata fermata nel tempo, attraverso i suoi scritti. Ai diari, si aggiungono le minuziose relazioni di lavoro in C.R.I.
Irene di Targiani Giunti è una profonda e attenta osservatrice di ciò che la circonda. L’abitudine all’osservazione e un’innata predisposizione al rigore e all’organizzazione la renderanno quella indimenticabile Delegata di CRI che si dimostrò, in un periodo tutt’altro che facile per l’Italia tutta. Un periodo storico (1921/1937) che giudica in modo disincantato e ne evidenzia in modo garbato la pericolosità (Una civiltà nuova, che non distrugge ciò che fu gloria e magnificenza ma cerca di ricreare con una diversa violenza i fasti e i drammi del passato). Così definisce sin dal loro esordio gli anni del fascismo.
Osservatrice, organizzatrice, severo giudice di sé stessa, dotata di una profonda fede religiosa (diventerà terziaria carmelitane) e di una notevole sensibilità nei confronti di chi soffre questi sono gli elementi che la caratterizzano. A tutto ciò si aggiunga la consapevolezza del ruolo della donna nella società del suo tempo e della fragilità e debolezza della donna italiana.
Se la sensibilità e l’attenzione per i sofferenti le viene sin da quando diviene membro delle dame della San Vincenzo nel 1893; l’attenzione per le donne in difficoltà prende vigore sin da quando, nel 1908, partecipa a Roma il primo Congresso Nazionale delle donne italiane, della quale era membro dal 1907, evento che rappresentava il momento culminante per l’attività dei movimenti femministi borghesi di inizio secolo.
Numerose furono le polemiche da parte socialista per l’impronta nettamente apolitica data al congresso. Inoltre la partecipazione di numerose aristocratiche e della stessa regina e i risvolti mondani del congresso offrivano facile spunto a sarcastici commenti da parte di molte partecipanti.
Il Congresso sancì la definitiva rottura tra movimento cattolico femminile e il movimento femminista borghese. L’unione delle donne cattoliche fondata dal pontefice e da donna Giustinini Badini avrebbe avuto da quel momento una tendenza opposta a quella del movimento borghese.
Irene di Targiani Giunti diviene socia promotrice e fondatrice del Circolo femminile di Cultura di Roma che viene fondato in quell’anno e che vede tra le socie i più bei nomi dell’aristocrazia romana. L’attività del Circolo diventa quindi la risposta alla contestazione del Primo Congresso delle Donne Italiane. “Che la nostra unione sia serena, seria, sincera! – Forse una sola deve essere la nostra forza: coraggio! Sì coraggiose sopra tutte ed innanzi tutto: coraggiose nel lavoro, e nelle sconfitte, coraggiose nella rinunzia, rinunzia di ambizioni, rinunzia di personalità, sacrificio completo di noi nell’anima collettiva, ecco la maggior prova del nostro coraggio!”
E’ importante citare alcune parole pronunciate nella prima seduta di questa nuova realtà culturale romana, dalla stessa Irene Targiani Giunti: “L’era presente ha operato in noi un risveglio che impone alle nostre coscienze una nuova vita di azione – non opere di grandi eroismi né di forti sacrifizi dobbiamo chiedere a noi stesse, ma solamente la volontà di vincere quello stato di sonnolenza che tenne fin qui chiusi i nostri occhi”.
Un esordio che mette in rilievo come fino a quel momento da parte delle donne vi fosse stata una consapevole incapacità di azione. E’ un esordio paragonabile ad una scossa elettrica.
Dalle sue parole emerge a chiare lettere l’immagine di un popolo di dormienti. E’ come se le donne fino a quel momento fossero state al di fuori di tutto e avessero “dormito, nulla abbiamo pensato, nulla abbiamo chiesto a noi stesse, agli altri, pur sentendo intorno a noi l’agitarsi di un nuovo movimento sociale.”
Viene criticata anche l’attività svolta, sino a quel momento, delle donne cattoliche e del suo rango in seno ad opere benefiche, tra le quali la stessa San Vincenzo, ma tutto viene riportato ad un lavoro che è rimasto in superficie, che sì ha reso più lievi le sofferenze ma ”senza voler analizzare la coscienza sociale che si risveglia in chi soffre”. Altre donne avevano agito “creature forti nel volere” che però “non portarono sempre la parola della verità”. Sono sferzate le parole della marchesa.
L’accorato appello al coraggio sarà presente in altri scritti, con formule diverse, spesso non citato come termine in modo esplicito, ma la “rinunzia” sempre verrà nominata unita al concetto di lavoro come “missione”in una comunione d’intenti che è presente come elemento per educare dalla famiglia alla scuola, educare all’insegnamento religioso. Questo è uno dei compiti: educare. L’altro è quello caritatevole “esercitiamo la carità sì ma facendoci interpreti della coscienza del popolo”. Infine l’ultimo aspetto “miriamo innanzi tutto di rivendicare i diritti del nostro sesso, cominciamo con il riabilitare nella donna stessa il suo concetto morale” accenno importante al quale aggiunge “la donna deve lottare nella vita forte e coraggiosa accanto all’uomo, nulla deve cedere a lui in eguaglianza morale! ”.
Cosa avrebbe riscattato le donne? Il lavoro. Ne è perfettamente convinta che non vi può essere altra soluzione. Per questo, sin dall’anno precedente al congresso aveva fondato l’Opera delle Ciociare. Per riscattare quelle fanciulle che dalla provincia si erano trasferite a Roma, seguendo il miraggio di una vita migliore forse il successo.
Da non dimenticare l’azione volta all’interno del Comitato romano di organizzazione civile negli anni 1915-1919. Dove il lavoro sarà alla base dell’azione delle donne che vi parteciperanno. Quelle donne che il Fascismo vorrà relegare nuovamente all’interno delle case.
Irene di Targiani Giunti è una donna in cui vi è una totale assenza di protagonismo e insofferenza nei confronti degli impegni mondani. Questo è un altro aspetto della sua personalità. E’ una donna con un forte senso del dovere, che traspare nei diari ma soprattutto negli scritti di CRI, nelle relazioni, nelle lettere come lei stessa afferma:“Il nostro lavoro non può, non deve avere tregua come purtroppo non ha tregua quel rinnovarsi di umane sofferenze a lenire le quali noi votiamo l’opera nostra.”. Il senso del dovere è alla base dell’organizzazione che darà alla C.R.I oltre ad una rigorosa preparazione professionale.
La vita non è stata generosa con Irene di Targiani Giunti ma l’intelligenza di questa donna le ha permesso di superare le vicissitudini che il destino le ha fatto incontrare:
Ho avuto in dono un grande spirito di adattamento, dirò di più uno spirito di interesse per conoscere terre e uomini nuovi, per seguire le diverse abitudini e le varie psicologie regionali di questo nostro paese tanto diviso e sempre tanto contrastato”.
Infine, in lei vi è una visione spirituale dell’esistenza che con il trascorrere degli anni si accentua sempre più. Un misticismo che è il risultato di un percorso religioso che l’accompagna sin dall’infanzia. Scriverà più avanti: “la vita intera dell’uomo deve essere religiosa, come quella di Cristo”.
A conclusione di questo mio intervento desidero leggervi un ultimo breve scritto di Irene Targiani Giunti: “15 novembre 1931. Villa di Dattilo a Strongoli sullo Ionio.
Scrivo con il proposito di realizzare un’idea che da tempo si insinua nella mia testa, cioè fermare i ricordi della mia vita raccolti saltuariamente dall’età di circa dieci anni.
Potranno questi interessare i miei figli, i miei nipoti e forse altri, non so! Non so!” Quegli “altri” che cita e che s’intesseranno ai suoi scritti siamo noi.
Lelia Zangrossi